Passeggiando lungo le vie di una città qualsiasi, si nota la saturazione dello spazio simbolico. Manifesti pubblicitari, insegne commerciali, indicazioni ed inviti ad assumere diverse tipologie di atteggiamento (acquisitivo e non), sembrano arrivate al massimo livello di significazione espressiva, denotando un potenziale di convincimento inflazionato che replica se stesso in un sortilegio ridondante. Non vi è più sorpresa per diversità qualitativa, ma solo per tambureggiamento quantitativo.
In questa atmosfera culturale, si è soliti parlare della Generazione X, di una Generazione perduta o che fa fatica a capire chi è davvero (magari differenziandosi solo in negativo da chi l’ha preceduta). Il problema più serio per questa generazione incognita che non accede al lavoro (che sta scivolando da uno status di diritto sancito costituzionalmente a quello di una ventura nepotistica) e che non ricerca nemmeno una qualificazione certificata delle proprie competenze attraverso il normale tirocinio di vita e di studio rappresentato dall’istruzione superiore, sono le proprie strategie di socializzazione, vale a dire l’accesso al mondo adulto adottandone le prerogative e riproponendone le peculiarità culturali. Qui c’è subito un grosso problema: come possono i giovani in questione accettare e replicare nelle proprie scelte di vita i criteri di una società che non li vuole?
Questa generazione non ha un’altra società a disposizione per entrare nella vita attiva ed adulta, magari con altre visioni del mondo (maggiormente inclusive) e con nuovi patti tra le generazioni. Sembra che, per la prima volta nella storia, una generazione si socializzi in base agli ordini economici e simbolici di un’epoca “malgrado se stessa”. La generazione X sa bene che non potrà avere una continuità di vita psichica e biologica coerente con gli standard occidentali della “qualità e quantità di vita”, e nonostante questo, pur avendo l’individualismo come incubatore sociale dell’io, molti giovani ricercano nel comunitarismo ludico, musicale e/o della rete una permanenza fittizia in un “noi” che è garantito nella sua efficace tutela del tessuto interumano solamente dalla sua concomitante retrocessione in quanto a costruzione di modelli soggettivi autonomi di vita sociale. L’individualismo ed il libero pensiero non nascono né dai nostri giorni, né dal 1789, nè dalla Riforma nè dalla Scolastica, nè dalla caduta del politeismo greco-romano: è un fenomeno che non comincia da nessuna parte, ma che si sviluppa incessantemente durante tutto il corso della storia. L’individualismo è una dottrina alla quale si attribuisce l’aumento della complessità dei sistemi sociali.
Storicamente lo si fa iniziare con il Protestantesimo. È vero che certi fattori, come l’aumento della divisione del lavoro, favorendo la diversificazione dei ruoli sociali e delle competenze, hanno contribuito a rafforzare il sentimento della differenza fra l’Io e l’Altro e, in questo modo, a rafforzare o rivelare l’individualismo che è proprio di ciascun essere umano. È vero che il Protestantesimo testimonia indirettamente l’affermazione dell’individualismo: affermando la libertà di coscienza del credente esprime, sul piano teologico, il fatto che lo sviluppo della divisione del lavoro ha aumentato nell’individuo la consapevolezza della sua singolarità. Tuttavia, l’individualismo è un fenomeno che non ha inizio da nessuna parte, ma che si sviluppa senza fine nel corso della storia. Allora, se sei incluso socialmente devi fare i conti con l’individualismo contemporaneo: come fanno i giovani della Generazione X? Di cosa si compone il loro individualismo, oltre alla lucida consapevolezza della fine del legame sociale e dello scioglimento dei vincoli di responsabilità intergenerazionali?
L’individuo ha sempre rappresentato, in quanto individuo, un punto di riferimento privilegiato, se non unico e necessario, a partire dal quale è possibile valutare la pertinenza delle norme o la legittimità delle istituzioni nel senso più ampio del termine. Pertanto, in tutte le società, comprese quelle più arcaiche, le istituzioni di livello sociale, quelle che riguardano la società nel suo insieme, non possono non essere valutate dagli individui come più o meno legittime a seconda che esse diano la sensazione di rispettare o meno lo spazio di responsabile costruzione dell’individualità. Il problema per chi è in stand by nel processo di socializzazione, per chi vive una interminabile fase neutra della propria vita, senza più nulla da chiedere alla giovinezza e senza nulla sperare dall’età adulta, consiste esattamente nella graduale trasformazione della propria esperienza quotidiana in un teatro di sperimentazione di nuove forme di solidarietà tra l’io ed il mondo che vanno assumendo forme del tutto inedite. O socializzarsi a questa realtà sociale contro se stessi, o costruire comunque la propria inclusione contro la società. Non ci pare cosa da poco. •