Tre chiavi. Tre grate. Tre custodi. Una comunità!
Fermo. Tempio di Sant’Agostino. Chiesa stupenda. Gli affreschi notevoli salvati dall’ignoranza e dalle muffe sono un catechismo visivo, come le vetrate nella Cattedrale di Chartres. Biblia pauperum, Bibbia dei poveri.
Capitarci nel secondo pomeriggio di un venerdì di quaresima è illuminante.
Penombra nel tempio. La quasi oscurità della navata centrale si contrappone alla luce della Cappella della Sacra Spina. I lampadari brillano sospesi sul baldacchino della preziosa reliquia che, si racconta, facesse parte della corona di spine inflitta sul capo di Gesù.
Il celebrante indossa paramenti rossi. Come il sangue. Alla benedizione, prende la Sacra Spina, la alza e l’abbassa, la porta a destra e poi a sinistra. La ripone. I fedeli si alzano. La messa è terminata.
La reliquia, contenuta in un tubo cilindrico di quarzo, viene messa al sicuro, custodita in una sorta di cassaforte, sotto ad una tela. È il reliquario d’argento, gotico di fattura, che viene aperto e richiuso da tre chiavi (un tempo cinque) che serrano e disserrano due pesanti porticine e una gabbia armata in ferro.
Ed ecco i tre custodi: il Rettore-parroco del tempio, il Priore della Confraternita della Sacra Spina, il Sindaco di Fermo. La reliquia non si caverebbe fuori se uno dei tre s’opponesse.
Si dirà: quisquilie! medievalismi!
Probabile: ma quella triade di cui si chiede unità d’intenti ha un significato.
Noi, efficentisti, potremmo concludere che si sprecherebbe meno tempo a custodire le tre chiavi nelle mani di un unico custode. Ma il senso sarebbe lo stesso?
Perché lasciare le tre chiavi a tre realtà è auspicio d’unità. Uno stare insieme per il bene collettivo. Non a caso l’antica e odierna benedizione si sparge sulla città intera. Se non fosse termine abusato, diremmo: attenzione al bene comune.
Ma c’è di più. La Sacra Spina fu momento di dolore e lacerazioni. Rinaldo da Monteverde mise a ferro e fuoco Sant’Elpidio a Mare e consentì ai fermani di sottrarre la reliquia che a quella città era stata donata dal beato Clemente Briotti. La stessa Fermo subì una spaccatura cittadina quando, esistendo già un’altra spina in possesso dei Domenicani, la popolazione si divise. Occorse allora una prova. Quella del fuoco, per stabilire quale fosse la vera. Soluzione proposta dal vescovo Antonio de Vetulis.
Le cronache del tempo – sul finire del XIV secolo – raccontano di un brulicar di folla divisa in fazioni e di frati contrapposti (domenicani e agostiniani), in piazza grande, dove ardeva un gran braciere. Il vescovo vi gettò le due reliquie. Quella “domenica” bruciò all’istante, quella “agostiniana” resistette. Anzi: si librò nell’aria…. Il fuoco decise.
Restò il bisogno di riallacciare l’unità. Le tre chiavi, idealmente la garantiscono.
In attesa di vedere la Confraternita rispolverare per la prossima Pasqua le antiche tuniche, il consiglio è di visitare il tempio nella quasi sera, magari dopo l’ascolto della cantata scritta da Johann Sebastian Bach sul testo dell’inno pasquale di Martin Lutero: Christ lag in Todesbanden. Senza scordare di guardare alla nicchia del, dicono, templare inginocchiato. E senza dirlo ai Cavalieri di Malta di San Zenone… •
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